Dal paese fantasma di Frattura vecchia un lungo anello sulle montagne di Scanno

Monte Rognone, monte Genzana e Serra Leardi


Il pretesto, nella piacevole futilità della corsa che impegna i soci del Club2000 alla conquista dell’Appennino, era quello di mettere la croce sulla Cima di Serra Leardi e sanare uno dei miei ultimi debiti con la classifica; Serra Leardi da sola, quando tutte le montagne li intorno, ed il Genzana in particolare, erano state già salite, non meritava una escursione dedicata. Un week end ben programmato ed un classico anello costruito ad hoc che facesse conoscere a Marina le montagne ad Est di Scanno potevano essere il motivo in più per dedicare tanto tempo a questa escursione. Abbiamo prenotato allora un B&B a Scanno e nel pomeriggio del sabato ci siamo fatti catturare dall’atmosfera ormai autunnale di questo scrigno di paese. Una passeggiata in lungo ed in largo, sarebbe meglio dire in basso ed in alto per le strette e antiche stradine hanno fatto vivere bei momenti ad “andamento” finalmente lento; i forni, una biscoteria, una pasticceria dove acquistare un profumatissimo tè per le fredde serate che verrano, e poi la famosa “chitarra” abruzzese per tanta pasta da fare a casa acquistata in un negozio tipico di manufatti artigianali, un aperitivo all’aperto infagottati perché ormai non è più tempo, una gustosissima cena a base di agnello e soprattutto tante tante chiacchiere con tutti (chi dice che gli abruzzesi sono gente ruvida e riservata?); insomma abbiamo vissuto la montagna ancora prima di salirla ed è stato bello, davvero bello. A dormire presto e siamo alla domenica, riposati, ricaricati nello spirito e pronti ad andare a conoscere le montagne intorno a questo meraviglioso paese d’Abruzzo che è Scanno. Frattura Vecchia, il paese diroccato e abbandonato in seguito ad un forte terremoto ai primi anni del 1900, è la partenza della nostra escursione, l’idea è quella di toccare in successione il monte Rognone, il monte Genzana e Serra Leardi per ritornare scendendo dal vernate Sud, su Frattura nuova e da lì chiudere l’anello. Si raggiunge Frattura, al primo tornante del paese si svolta decisamente a sinistra in una piccola stradina, un cartello indica la direzione per Frattura vecchia; per strette curve prima si attraversa la larga conca del monte Rava, una spalla del Genzana, dove si è originata la frana che in antichità remota è andata a formare il lago di Scanno, poi serpeggiando si supera un cimitero ed un campo da tennis; le rovine del paese sono già a vista, sullo sperone di fronte, si aggirano da Ovest e si entra nell’erbosa piazza dell’antico paese. Ci si sente un po’ intrusi nel silenzio e nella luce tenue del primo mattino che sembra dare ancora più sollennità alle rovine; parcheggiamo un po’ fuori dalla piazza, ancora sulla strada di accesso, ci sembra dovuto non invadere un luogo dove il tempo sembra essersi fermato. Sul lato Nord della piazzetta, accanto ad una piccola cappella inizia una poco marcata carrareccia, una sbarra e le bandierine bianco-rosse del CAI indicano senza ombra di dubbio l’inizio del sentiero che dobbiamo prendere. La carrareccia si inoltra verso Nord tra rocce sporgenti, arbusti e piccoli appezzamenti difficili da coltivare, si dirige verso una sella ampissima che abbiamo di fronte sulla quale, come si sale un po’ di quota si riesce anche a scorgere la piccola sagoma della Cappella dell’Immacolata; si segue la sterrata per quasi un chilometro, in una curva verso sinistra, proprio in coincidenza di un grosso e marcato vallone che scende dalla montagna si stacca un evidente sentiero (15 min.) che traversa il fianco della montagna, sulla sinistra del vallone stesso. Lo si prende e si inzia a salire repentinamente, prima con ampissime svolte e lunghi traversi poi con sempre più fitti tornanti fino ad attraversare, intorno a quota 1450 e nelle vicinanze del bottino in cemento e della fonte di Pietra Libertina, il fosso stesso. Il pendio, causa il deciso traverso che si prende, si attenua, il fosso ora meno marcato e ormai erboso, vira verso Nord; il sentiero riattraversa il fosso stesso e si inoltra nei dolci declivi che conducono alla rotonda e poco marcata cima del monte Cona, 1676 mt (1 ora e 40 min.). Il sentiero è ben marcato e ricco di segnavia fino al rifugio che prende il nome dal monte, il rifugio Cona appunto. La posizione è fantastica, posto sulla sommità della gobba di questa vetta che in verità è più una spalla del monte Rognone ormai vicino, permette una vista su Frattura vecchia e d’infilata abbracia il lago, Scanno e tutta la valle che sale verso il passo Godi. Oltre la rotondità del Genzana che incombe , le coste boscose della Terratta, la mole del Marsicano e le frastagliate cime del Petroso sono la cornice del quadro che si va formando. Peccato la poca luce e le nubi ancora dense, anche se alte, che non permettono di godere a pieno del panorama. Per la cronaca il rifugio è stato completamente ristrutturato, sia all’interno che all’esterno; è oggi una bellissima struttura che potrebbe essere una eccellente base di appoggio sulle montagne di Scanno. Vetri alle finestre ed inferriate, gli interni ripuliti e rifiniti ma è vuoto di suppelettili. La porta in metallo chiusa con tanto di serratura fa pensare che il rifugio sia privato o utilizabile su prenotazione. Comunque ho avuto l’impressione che i lavori non siano ancora terminati e che non sia ancora utilizzabile. Dal rifugio si contina per poche centinaia di metri verso una sella senza nome dove è evidente una palina; indica la direzione per il monte Forchetta ed il paese di Introdacqua. Dalla sella a 1654 mt parte una evidente dorsale erbosa verso Est, che costeggiando in semicerchio il fosso che scende dalla montagna, sale con pendenza quasi costante e decisamente più ripida. Poco meno di quattrocento metri di dislivello e la dorsale che avevamo interamente a vista li di fronte ci dividevano la monte Rognone. Lo raggiungiamo (2 ore e 35 min.) col fiato corto ma è il vento fresco che spira in cresta che ce lo fa passare in men che non si dica; l’orizzonte che sconfina fino alla Majella, al Porrara e al vicino Rotella ci distrae ,le fatiche della salita sono alle spalle. Da queste parti il vento è di casa, non possiamo riposarci, il sudore ci si appiccica già addosso; meno di un chilometro verso Nord e raggiungiamo il monte Rognone, un vero balcone verso la piana di Sulmona ed il Morrone, verso il Sirente, non mi ero mai accorto ma si scorge da quassù anche l’arroccato paese di Castrovalva, all’inizio delle gole del Sagittario. La cima è una lunga spianata di un centinaio di metri , un omino di sassi, poco discosta una croce commemorativa più in là qualche formazione rocciosa si dividono la paternità della vetta; se l’uomo lasciasse qualche volta l’ambiente come lo trova non sarebbe di certo un danno. L’enorme tondeggiante sagoma del Genzana copre l’orizzonte verso Sud. A Sud est il Marsicano e il più lontano il Petroso sono ancora più marcati e riconoscibili. Riprendiamo verso Sud, per il primo tratto ripercorrendo la cresta appena calpestata; poco più avanti intercettiamo un sentiero e qualche ometto. In questo periodo, forse sempre tranne in presenza di nebbia, il percorso per arrivare sul Genzana è così scontato che si procede secondo la propria idea di risparmio delle fatiche. Quando il sentiero, ormai nei pressi della cima, vira e taglia il versante verso Ovest prendiamo decisamente la cresta andando incontro ad un grosso ometto con una palina che spicca in controluce; la possiamo definire l’anticima Nord del Genzana, la vetta è a poche centinaia di metri verso Sud, leggermente più alta; la croce che spicca e che già si riesce a percepire sulla piccola sporgenza rocciosa quasi si perde e si confonde con l’ingombrante presenza della stazione (meteo ?) posta li accanto. Quarantacinque minuti ci sono serviti, quarantacinque minuti di tonda ed ampia cresta dal Rognone al Genzana, spinti da un vento che nel frattempo si era fatto fastidioso e da un fronte nuvoloso che stava richiudendo i vasti orizzonti che ci avevano accolto sul Rognone (3 ore e 25 min.). La tanto bistrattata stazione, orribile cubo di latta con tanto di enormi pannelli solari sopra ed orribile gabbia a mo’ di recinto è stata però più che mai propizia per noi; dopo il tempo di poche rattrappitissime foto alla poca ombra della croce di vetta ci è stata di gran servigio riparandoci dalle raffiche e permettendoci una comoda sosta non a caso mangereccia. Appollaiati su due roccioni posti li come panchine, viene da pensare che situazioni di vento e sempre proveniente da Nord-Ovest siano molto ripetitive su questa montagna e anche che la centralina sia stata più volte per questo apprezzata, ci siamo goduti frutta e biscotti; li sotto, proprio davanti a noi, a spezzare le dolci gobbe erbose, la lunga fascia rocciosa che distingue l’anonima Serra Leardi; da Est verso Ovest lo sguardo spaziava dalla Majella fino al lontano Miletto e poi alle Mainarde fino al Marsicano. Molte volte si legge del Genzana come del Balcone d’Abruzzo, anche se è un po’ generica la definizione è comunque pertinente. Riprendiamo a scendere senza seguire l’evidente carrareccia che gira verso Ovest e si abbassa larga sulla sella sottostante, seguiamo il filo della larga cresta verso Sud, una ipotetica linea retta che fila fino a Serra Leardi la sotto; riprendiamo la carrareccia sulla poco marcata sella, un minimo di dislivello in salita è un omone di pietre annuncia già la fascia rocciosa e piatta della cima di Serra Leardi. Poco verso Est un omino minuscolo sancisce il terzo traguardo della giornata (4ore e 25 min.). Nella classifica del Club è la mia 253esima vetta, ormai a solo meno 2 dalla fine del lungo gioco, per Marina sono 100 di meno. Sostiamo poco, il tempo di poche foto, senza grossi dislivelli riprendiamo la carrareccia che solca le ondulazioni dolci della cresta erbosa; l’abbandoniamo presto per seguire delle tracce che obliquano verso Sud-Ovest e tagliano il pendio. Il tetto dell’ovile Genzana si intravede tra le linee delle curve dei pendii e dei tanti fossi, non lo dobbiamo raggiungere; sotto di noi facciamo sfilare il vallone Leardi poi ci abbassiamo seguendo altre inconsistenti tracce, forse solo dovute al calpestio degli animali. Tagliamo il pendio e ci abbassiamo fino ad intercettare la fonte Leardi (5 ore e 10 min.), un acquitrinio fangoso che conviene aggirare da lontano. Continuiamo a girare intorno ai declivi erbosi dirigendoci verso Sud-Ovest, la carrareccia che scende verso valle è nascosta dalle tante rotondità ma sappiamo che continuando in quella direzione finiremo per intercettarla. La raggiungiamo presto, per ora è il nostro punto di arrivo e la nostra angoscia; per averla già percorsa lo scorso inverno la sappiamo monotona e lunga, la speranza è di incontrare qualche animale del parco tra i boschi che attraverseremo. Speranza vana, ciò che si concretizza è solo la noia della lunga strada, in molti tratti sconnessa e scavata dallo scorrere dell’acqua piovana. Si fila veloci però, almeno questo si. Superiamo la fonte Malvascione e quando si iniziano ad intravedere sia il lago di Scanno che i tetti delle prime case di Frattura scorgiamo alcune esigue piste che tagliano il pendio. Ci infiliamo senza indugi e per salti successivi incontriamo e superiamo ripetutamente la strada; ci rendiamo conto di accorciare non poco il monotono tracciato della carrareccia che scende invece con ampissimi tornanti. Più in basso, il paese ancora un po’ lontano , quando le tracce si perdono tra i cespugliosi pratoni continuiamo a tagliare il pendio obliquando verso il paese. Diverse carrareccie convergono verso Frattura, le raggiungiamo e le superiamo una ad una fino a decidere quella da seguire. Tutte convergono comunque nella stessa che arriva sopra al paese, all’altezza dell’ultimo tornante dove inizia o finisce, a seconda della direzione che si percorre, la strada asfaltata, nei pressi di una delle tante antenne telefoniche di cui il territorio è disseminato (6 ore e 30 min.). Non entriamo affatto nel paese, continuiamo tagliando il tornante verso Nord in una ampia fascia erbosa che sa tanto di sentiero. Frattura vecchia è già a vista poco più di un chilometro davanti a noi, presto la fascia erbosa si riduce di larghezza e prende decisamente le sembianze di una traccia comoda che taglia dolcemente le coste da dove si è staccata la frana che abbiamo descritto all’inizio di questa relazione. Scende sulla piana sottostante all’altezza del cimitero e del campo da tennis che rimangono lontani alla nostra sinistra e risale su sfasciumi rocciosi che scendono dall’instabile parete della montagna. L’ultimo tratto del sentiero, accanto a piccoli orti ben tenuti e proprio sotto le prime rovine e le poche case ristrutturate di Frattura vecchia si inerpica decisamente; le pietre sono instabili e si muovono sotto gli scarponi, i 14 chilometri circa che abbiamo alle spalle insieme ai circa 1000 metri di dislivello superati iniziano a farsi sentire e l’ingresso nella pianeggiante e ricomposta viuzza del paese sa di rientro trionfale. Una bella fontana ristrutturata meravigliosamente ci accoglie all’ingresso del paese (7 ore),e l’angolo ricostruito è decisamente molto molto bello da vedere. Il paese si attraversa velocemente, altre rovine sono silenziosamente in attesa di essere ristrutturate e si affacciano alla meravigliosa piazzetta erbosa dove spicca un grosso olivastro che fa da ombra ad un’altra bella e copiosa fontana. C’è modo di rinfrescarsi e rimettersi in sento, l’acqua fresca e l’ombra del grosso albero sembrano un servizio da hotel da cinque stelle. Il paese è un incanto, minuto, silenzioso e perso in mezzo alle montagne circostanti. Fermarsi un momento per prendere il ritmo del luogo e perdersi nel fruscio del vento che muove le fronde non ha prezzo . Rimane ora solo da soddisfare le commoventi e supplichevoli rimostranze delle nostre pance affatto soddisfatte da una banana e da pochi biscotti. Proprio all’incrocio della strada che riporta in paese, mentre si abbandona quella che viene da Frattura vecchia, chiedo ad un indigeno se nel paese ci fosse la possibilità di mangiare qualcosa. Un sorriso tondo e rubicondo, anche un po’ divertito per tanta nostra distrazione, ci invita a parcheggiare: “ce l’avete davanti!!” è la sua risposta ridanciana. Trenta metri e parcheggiamo, la trattoria “la Ciminiera” sembrava stesse aspettandoci. Di certo l’oste ci aspettava, si era liberato appena un tavolo nell’angolo della sala ristorante, vista sul lago e su Scanno fino al Godi. Una chicca a chiudere un week end fantastico. Ora non mancava davvero più nulla, solo il ritorno a casa, ma questa era una questione del dopo, a pancia piena si affronta meglio tutto, anche il rientro a Roma.